(estratto dall'articolo di Repubblica del 6 agosto 2009)
..... Si contrappongono la decisione sulla morte dignitosa e la cura e l'accompagnamento del morente. La vita, non la morte, dovrebbe essere oggetto dell'attenzione. Vivere, non morire, con dignità. Qui l'ambiguità è massima. Proprio la riflessione laica ha sottolineato che, se la morte appartiene alla natura, il morire è sempre più governabile dall'uomo, appartiene alla sua vita e dunque rientra nell'autonomia delle scelte di ciascuno. E non si può contrapporre la vocazione della Chiesa alla cura a una sorta di estraneità pubblica. In questi anni sono stati proprio i laici a insistere sulla necessità di cure palliative, sull'iniqua distribuzione sul territorio di “hospices” e centri per la terapia anti-dolore, sulla complessiva necessità di servizi per le persone. Il Governo, pronto ad approvare decreti incostituzionali per impedire l'esercizio di diritti, non ha riconosciuto quelle altre priorità, né mette a disposizione risorse adeguate. Invece è proprio qui che la presenza pubblica è necessaria, per consentire a ciascuno di fare le sue scelte. Una strategia di libertà positiva, esattamente l'opposto delle politiche proibizioniste che si cerca di imporre attraverso il disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento già approvato dal Senato. Nei giorni scorsi un alto prelato, sempre assai loquace, si è spinto a dire che quel testo è ottimo e che non è possibile mettere in discussione uno dei suoi punti più controversi, quello sull'alimentazione e l'idratazione forzata, perché la scienza avrebbe unanimemente concluso che non sono trattamenti terapeutici. Non è così, come è stato mille volte ricordato richiamando le posizioni delle maggiori società mediche internazionali. Ma questi sono segni inquietanti di una volontà di chiusura che si ritrova anche nella relazione che, nella Commissione Affari Sociali della Camera, ha avviato l'esame del disegno di legge. Una chiusura tutta ideologica, sorda alla voce dei moltissimi studiosi che hanno sottolineato le infinite sgrammaticature e contraddizioni di quel testo. Né maggioranza e Governo vogliono trarre profitto dalle lezioni impartite dalla Corte costituzionale con due recenti sentenze che indicano quali debbano essere i rapporti tra potere legislativo, potere medico e potere individuale quando si affrontano temi che riguardano la vita delle persone. Viene ribadito il ruolo centrale dell'autodeterminazione, per la prima volta riconosciuta esplicitamente come “diritto fondamentale” della persona. Il consenso informato dell'interessato rimane l'ineliminabile e vincolante punto di partenza. Il legislatore deve tener conto delle << acquisizioni scientifiche sperimentali che sono in continua evoluzione>>, sì che << la regola di fondo deve essere l'autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali >>. Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire che cosa sia un trattamento terapeutico, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vengono esplicitamente dichiarate illegittime. E, al tempo stesso, la definizione dello spazio proprio delle acquisizioni scientifiche e dell'autonomia del medico viene affidata al consenso della persona, ribadendosi così il ruolo ineliminabile della volontà individuale. Questo è il quadro costituzionale che la politica deve rispettare se vuole che le sue decisioni siano legittime. In questo modo difende anche la propria autonomia di fronte a chi vuole trasformarla in potere biopolitico che si impadronisce della vita delle persone introducendo pericolosi doveri verso la “comunità”, o in potere subordinato a imposizioni esterne. Credo proprio che non debba essere seguito l'esempio dell' ”amico Putin”, che tre settimane fa ha consentito alla Chiesa Ortodossa un diritto di esame preventivo di tutte le leggi che riguardano temi eticamente sensibili.
Stefano Rodotà
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